Professional Trainer

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giovedì 1 gennaio 2015

Cenni di Biomeccanica Applicata al Pugilato

Il web e le librerie sono piene di articoli e libri che parlano di biomeccanica del movimento umano per cui, in questo contesto, non sprecherò parole ne vi farò perdere tempo con dei concetti risaputi e facilmente reperibili. Per chi non è in possesso di determinate nozioni scientifiche, è giusto che sappia che la biomeccanica è l’insieme di due scienze (biologia e la meccanica, quest’ultima una branca della fisica) che studia i movimenti meccanici dell’apparato locomotore umano e che risulta quindi indispensabile conoscere per programmare un allenamento bilanciato ed eseguire qualsiasi esercizio in modo corretto.
Uno dei contesti di studio della biomeccanica applicata al movimento umano è quello che riguarda la sfera della coordinazione intermuscolare. Molti esperti del settore (qualificati e non…) considerano il movimento come l’attivazione dei soli muscoli coinvolti nello spostamento di un determinato segmento corporeo, senza tenere in considerazione gli altri muscoli che partecipano al compito motorio con funzioni diverse.
Per rendere il tutto più facilmente comprensibile riporto un concetto espresso nel 2006 da Capanna:
“nonostante nella vita quotidiana, così come nelle attività sportive, il corpo non funzioni come un insieme frammentato di segmenti isolati, ma piuttosto come un’unità dinamica indivisibile, spesso si persegue l’idea di voler assemblare i vari elementi allenati separatamente, con la speranza, poco plausibile, da un punto di vista biologico, che si integrino autonomamente in un secondo momento.”
E’ risaputo che il cervello non sa come si muove un singolo muscolo, esso riconosce soltanto il movimento.
Per questo motivo, è fondamentale conoscere i vari muscoli coinvolti in un determinato movimento e le loro rispettive funzioni, cioè il sinergismo, il rapporto funzionale che si verifica tra tutti i muscoli che intervengono nel movimento.
Nel pugilato Italiano, fino a qualche tempo fa, la preparazione atletica era curata completamente dai tecnici, che in passato, bandivano l’allenamento della forza con i sovraccarichi, in quanto associavano questa metodica di allenamento della forza con l’attività svolta dai body builders.
Come avviene spesso nell’ambito sportivo ed in quello del fitness, si è passati da un estremo all’altro, infatti oggi la tendenza è cambiata, quasi come si trattasse di una moda. Sempre più frequentemente i tecnici propongono allenamenti per lo sviluppo della forza privi di base scientifica e senza alcun criterio. Il risultato? Aumenti della massa muscolare e riduzione del ROM articolare. Paradossalmente si è avverato il “vecchio” timore dei tecnici legato all’allenamento con sovraccarichi: il “rallentamento” dell’atleta.
La “somministrazione” scriteriata di carichi all’interno di una singola catena cinetica è causa di squilibri e asimmetrie all’interno della catena stessa.
“per squilibrio muscolare si intende una condizione di mancanza di equilibrio tra la forza di gruppi muscolari che si trovano correlati tra loro attraverso un rapporto funzionale, quale è ad esempio il rapporto tra un muscolo che in un determinato gesto funziona da agonista e quello che nello stesso movimento risulta l’antagonista.”
Bisogna specificare che anche le strutture tendinee e le capsule articolari risentono di questi squilibri.
I muscoli che ricevono “dosi di stimoli” scriteriati per intensità e frequenza, ipertrofizzano generando retrazioni e irrigidimenti, le inserzioni osteo-tendinee si avvicinano tra loro mettendo in crisi l’equilibrio della catena cinetica muscolare. Tutto ciò causa una reazione a cascata, in quanto la retrazione di un singolo muscolo genera la retrazione di altri muscoli che si inseriscono sulla stessa leva ossea costringendo il corpo ad adattarsi con compensi posturali. Questi squilibri, nella maggior parte dei casi, sono generati da allenamenti elaborati tenendo in considerazione esclusivamente la specificità del gesto sportivo, andando così a potenziare soltanto l’azione dei muscoli agonisti a discapito di quelli antagonisti.
Ritornando al pugilato ed analizzando la biomeccanica della disciplina e la postura assunta dagli atleti, si può notare molto spesso uno squilibrio tra la muscolatura anteriore e quella posteriore, con  una prevalenza della prima rispetto alla seconda dovuta principalmente:
-         -  Alla posizione di guardia, il pugile tende a portare le spalle in avanti provocando un abduzione delle scapole. Già di per sé l’essere umano tende a “cifotizzare” il tratto dorsale della colonna vertebrale oltre la propria fisiologicità. Questo fenomeno si manifesta con una “marcata” estensione dei muscoli di questo tratto associato ad una prevalenza di forza dei muscoli intrarotatori delle spalle rispetto agli extrarotatori. Ciò potrebbe essere causato dalla tendenza dell’uomo a “chiudersi” con gli arti superiori addotti per proteggere il tronco. Anche quest’ ultimo atteggiamento è accentuato dall’atleta pugile poiché, nella posizione di guardia, i gomiti e le braccia devono proteggere la zona addominale;
-          - Ai gesti tecnici: i colpi diretti, montanti ed i ganci sono delle spinte con traiettorie che dal corpo si dirigono in avanti verso il bersaglio in maniera unidirezionale.

La preparazione atletica non può limitarsi al solo scopo di migliorare la performance, ma deve perseguire l’importante scopo di evitare l’insorgenza di asimmetrie e squilibri che, a lungo termine, potrebbero pregiudicare il rendimento dell’atleta. Nella maggior parte dei casi questi squilibri sono causa di frequenti infortuni come la lesione a carico dei muscoli che compongono la cuffia dei rotatori.
Quindi il preparatore atletico dovrà pianificare ed attuare allenamenti “preventivi” soprattutto per quelle strutture più facilmente soggette a traumi e sofferenze causate da sovraccarico funzionale.
Risulta quindi indispensabile riformulare i piani di allenamento ed inserire sedute integrative di tipo generale costituite da esercizi a carattere preventivo e compensativo con l’obiettivo principale e fondamentale di salvaguardare la salute e l’integrità fisica dell’atleta.